Quinta domenica di Quaresima
Anniversario della morte di Ezia-18 marzo2018.
Missionarie sacerdozio regale di Nostro Signore Gesù Cristo

 

Gesù, la risurrezione e la vita

    1. Gesù non è là dove lo aspettano.

Gesù è in ritardo. Gesù è accusato di essere in ritardo. “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto: sei arrivato tardi. Ormai il tuo amico è morto e sepolto!”; “Lui che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse? ormai è tardi, la morte è l’irrimediabile!”.

Non è raro che Dio sia accusato di essere in ritardo, di non essere presente o quanto meno di non rivelarsi presenza che salva proprio là dove c’è più bisogno di lui.

I devoti si pregano e si aspettano il soccorso, la protezione, l’esito felice delle loro imprese e perciò si lamentano con il Signore quando le loro aspettative sono frustrate e gli esiti deludenti e protestano: “dove sei stato, Signore? Ti aspettavo e non sei venuto: ecco, ormai la situazione è irrimediabile!”.

I tribolati, se pregano, si aspettano che le tempeste si calmino, che i problemi si risolvano, che le malattie guariscano e perciò si risentono, protestano quando le cose vanno di male in peggio: “Signore, dove sei stato? Perché non ti sei curato di me: ecco, ormai non c’è più niente da fare, la situazione è irrimediabile!”.

    2. L’ “ormai” come visione della vita.

Accumulando aspettative deluse, vicende che scivolano ineluttabilmente verso il peggio, speranze mortificate da una realtà spietata, alcuni fanno dell’ “ormai” una visione della vita. L’irrimediabile è la definizione che il passato impone al presente. La vita personale, la vicenda delle istituzioni, gli stili del mondo si descrivono con la desolata constatazione dell’ormai: la nostalgia di un passato più gratificante, il ricordo dei sogni e dei propositi giovanili, le diagnosi di evoluzioni ben documentate inducono a convincersi che siamo segnati da un destino ineluttabile e intrappolati in un percorso che non consente né vie d’uscita né possibilità di ritornare indietro e rimediare agli errori ed evitare i disastri.

Forse anche un istituto secolare può conoscere la tentazione di celebrare più la memoria di un passato irrimediabilmente perduto, secondo la rassegnazione all’ “ormai” del declino inevitabile.

Se proprio ti ostini a sperare, è necessario rimandare a un al di là consolatorio e indefinito, in una “risurrezione dell’ultimo giorno” che si colloca in una lontananza impalpabile, da quando la trascendenza si è banalizzata in una astrazione o piuttosto in una assenza.

    3. “Io sono la risurrezione e la vita”.

In mezzo alla disapprovazione generale, dei discepoli, dei Giudei, delle sorelle in lutto Gesù visita gli amici e mette in discussione la “filosofia dell’ormai”.

Gesù si rende presente perché il Figlio di Dio venga glorificato, si rivela come il Cristo, il Figlio di Dio che viene nel mondo: la sua visita non si riduce al gesto consolatorio di una presenza affettuosa. È piuttosto la rivelazione della gloria di Dio. Pretende la conversione dei pensieri e dell’immaginazione a proposito di Dio: Credi questo? Credi, cioè, che questa è la presenza di Dio? Non cioè l’estraneità trascendente e persa nell’indefinito, ma l’amico che si commuove, la prossimità che si prende cura, la fedeltà che non si lascia stancare dalle proteste, dalle critiche, l’uomo fatto di carne e di cuore che sente orrore di fronte alla morte: credi tu questo?

Gesù rivela che Dio non fa piovere dall’alto qualche favore per qualcuno che gli sia caro, ma si rende presente nell’uomo Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, per percorrere la stessa strada di tutti gli uomini e di tutte le donne nella precarietà tragica della storia.

La presenza di Gesù abbatte il pregiudizio dell’ “ormai” perché Io sono la risurrezione e la vita: chi crede in me anche se muore, vivrà. Gesù rivela che la gloria di Dio è rimediare all’irrimediabile, è la potenza che anche dalla morte sa trarre la vita, anche dal male sa trarre il bene. La storia del popolo di Israele che i padri devono raccontare ai figli (cfr Dt 6,4a.20ss) fa memoria che l’irrimediabile condizione di schiavitù è stata visitata da Dio per scrivere una storia di libertà “nella terra che aveva giurato ai nostri padri di darci ”. Le vicende personali sono visitate da colui che libera perché anche il peccato sia perdonato e nessuno possa dire di sé “ormai sono quello che sono”. Anche le tempeste e le tribolazioni sono visitate da Colui che è la risurrezione e la vita perché anche le tribolazioni della vita accolgano il seme della consolazione e la esperienza della prossimità di Gesù, perché nessuno possa dire della sua situazione: “ormai per me è finita”. Anche le istituzioni che sono logorate dalla storia, che sembrano indebolite fino all’insignificanza, sono visitate dal Figlio di Dio, colui che viene nel mondo, perché niente di ciò che è buono, virtuoso, nobile possa essere segnato dal sigillo dell’irrimediabile da chi dice: “ormai la vostra storia è finita”

La presenza di Gesù che sconfigge il pregiudizio dell’ “ormai” è sorprendente e sconcertante: non opera forse secondo le aspettative, non cancella i percorsi ardui e i passaggi tragici. Il suo modo di trarre vivo dalla tomba colui che è lì da quattro giorni non accontenta una curiosità mondana, né una attesa di rivincita, né un dolciastro lieto fine provvisorio. Chiede invece la fede per seguirlo, per fidarsi di lui più che delle previsioni e dei pregiudizi mondani: Gesù chiede di affidarsi a lui, risurrezione e vita, piuttosto che di pretendere che siano soddisfatte le aspettative spontanee.

Credi questo?

La preghiera che riassume il carisma dell’istituto e delinea una sintesi per una regola di vita continua a offrire spunti di luce e incoraggiamento per il cammino, in particolare nel commento che Ezia ha scritto e che è di nuovo pubblicato. Continuiamo a pregare con la fede di chi sa che il Signore ascolta ed esaudisce per vie che noi possiamo ignorare, ma che certo sono risurrezione e vita.