Nel 60° anniversario di morte del Beato Cardinal Schuster
Omelia di Sua Ecc.za Mons. Mario Delpini Vicario Generale
Celebrazione sessantesimo della morte
del B. Alfredo Ildefonso Schuster
Venegono – 4 ottobre 2014.
Il sommo sacerdote e il culto gradito a Dio.
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Gli fece indossare una veste di gloria (Sir 45,7).
Lo splendore delle vesti sacerdotali riveste coloro che sono chiamati al sacerdozio antico, come Aronne. Ma la liturgia ci propone oggi questa descrizione per applicare questo tema della “veste di gloria” al Beato Card. Schuster e a tutti i santi sacerdoti e a tutti coloro che esercitano il sacerdozio battesimale.
Ecco i figli e le figlie di Dio ricevono una veste di gloria: è l’espressione immaginosa della loro dignità sacerdotale e regale.
Chi si lascia rivestire della veste di gloria trasfigura la sua vita. La banalità delle cose da fare non è più banale, se è rivestita di quello splendore che le trasfigura in opere d’amore e in modi per rendere culto a Dio. La noia deprimente che talora abita nelle case di chi è solo non è più noiosa se è rivestita di quello splendore che trasfigura i momenti vuoti in occasioni per pensare, pregare, immaginare il bene da compiere e il modo di dar gloria a Dio.
L’impressione scoraggiante di non valere niente, di non essere interessante per nessuno, di non essere considerato/a, di essere abbandonato/a e incompreso/a non è più scoraggiante, se è rivestita di quello splendore che alimenta la consapevolezza, la fierezza, la libertà interiore di chi sa che il giudizio che conta è quello di Dio, che la propria dignità non è nel riconoscimento sociale, ma nell’essere figlio di Dio.
Il modo di celebrare del Card Schuster lasciava una impressione profonda in chi partecipava alle celebrazioni perché la sua figura esile, fragile, austera era come rivestita da una veste di gloria. Coloro che hanno assistito alla sua morte, qui in seminario, hanno riportato l’impressione che anche la sua morte fosse una celebrazione, solenne, intensa, sofferta e gloriosa.
Coloro che guardano con ammirazione al Card Schuster per chiedere la sua intercessione e imitare le sue virtù devono lasciare che il Signore faccia loro indossare una veste di gloria.
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Perché offrisse al Signore incenso e profumo come memoriale (45,16)
Incenso e profumo si diffondono dell’aria e s’alzano verso il cielo: sono povere manifestazioni con cui povere creature onorano il Dio creatore e signore che ha fatto le cose del cielo e della terra. Incenso e profumo creano un’atmosfera, si irradiano tra i presenti, danno una caratteristica a un ambiente che rimane anche quando la celebrazione si è conclusa.
Incenso e profumo si diffondono senza sforzo, senza comportare complessi problemi organizzativi, senza richiedere un impegno della volontà. Si irradiano come la luce.
L’immagine del culto nel tempio dove si usano incenso e profumo si applica in questo contesto alla “santità”, alla devozione.
Incenso e profumo possono quindi essere una immagine delle vie che percorre la grazia di Dio che vuole portare letizia e speranza nel cuore di tutti.
Talora soffriamo di una continua agitazione, ci tormenta una domanda “che cosa dobbiamo fare”, siamo stanchi e delusi dopo avere affrontato tante fatiche e preso tante iniziative che non hanno prodotto i frutti sperati, nonostante tutte le buone intenzioni, talora ci rendiamo un po’ ridicoli per un protagonismo che si affatica ad attirare l’attenzione su di sé, che continua a cercare approvazione e consensi, ad aspettare applausi e che qualcuno che conta dica: “come sei bravo!”.
Forse l’immagine dell’incenso e del profumo ci rassicurano: ci dicono che il vangelo si diffonde per irradiazione e non per programmazione, una specie di contagio della gioia piuttosto che una insistenza di cose da fare, da pensare, da imparare, un profumo che rende piacevole stare in un luogo, in una comunità, piuttosto che tante risorse impegnate per sedurre e convincere a restare.
Il Card Schuster ha avuto una attività straordinaria che ha esaurito le sue forze e l’ha indotto a dire che fare l’Arcivescovo di Milano è una mestieraccio da facchini, ma quello che ha lasciato, quello che ha convinto, quello che ha fatto nascere un desiderio di imitazione è stata la sua santità, che si è diffusa in tutta la diocesi come un buon profumo, come un incenso che sprigiona il suo aroma solo perché si lascia bruciare.
Ecco, forse questa è l’indicazione per la missione che ci coinvolge, che ci aspetta, che ci è affidata: semplicemente lasciarsi bruciare perché si diffonda il buon profumo della vita cristiana.
- Benedire il popolo nel suo nome (Sir 45,15).
Il culto si compie nella benedizione, nella liturgia antica e nella liturgia del nuovo testamento. Ogni nostra celebrazione si conclude con la benedizione. Anche alcuni gesti quotidiani si compiono con una benedizione: quando si è tavola, quando ci si congeda per la notte. Benedire il popolo nel suo nome.
È un modo per dire come Dio guarda al suo popolo, è un modo per riconoscere e augurare che la celebrazione dia all’assemblea il volto e la gioia di un popolo benedetto.
Ma il gesto rituale che congeda l’assemblea è un segno di quale sguardo si deve rivolgere al popolo, al mondo, alla storia.
Che cosa si deve dire di questa gente? Molte voci sono inclini a valutazioni di disprezzo, di critica generalizzata, per cui si dice che la gente di oggi ha tutti i difetti, è incapace di qualsiasi bene, ecc, ecc. Invece si deve dire: questa gente è benedetta da Dio!
Che cosa si deve dire di questo mondo? Molte voci tendono a descrivere tutto come motivo di lamentela, perché tutto va male.
Invece si deve dire: questo mondo è benedetto da Dio!
Che cosa si deve dire di questo giorno? Che cosa si deve dire di me?
È benedetto da Dio!
Il Card Schuster è passato nelle nostre terre portando la benedizione di Dio.
Chi lo ammira e lo vuole imitare trascorre il tempo portando nel mondo e a tutti quelli che incontra questa certezza: sei benedetto da Dio!